Il seguente è l’adattamento di un articolo di eERG (gruppo di ricerca sull’efficienza negli usi finali dell’energia del Politecnico di Milano).
Diverse zone italiane (la Pianura Padana e la maggior parte delle grandi città) devono periodicamente fronteggiare problemi connessi alla cattiva qualità dell’aria, a causa dell’elevata concentrazione di inquinanti.
Da sempre si sospetta che lo smog atmosferico abbia effetti negativi sulla salute umana, ma ultimamente si é scoperto che le polveri sottili sono molto più pericolose di quanto sospettato. Ad ottobre del 2013 l’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC, che afferisce all’Organizzazione Mondiale per la Sanità), sulla base di dettagliati studi epidemiologici, ha incluso l’inquinamento dell’aria, e in particolare le polveri sottili (PMx), nella lista delle sostanze che causano cancro nell’uomo (in particolare alla vescica e al polmone).
Nel 2014 l’Organizzazione Mondiale per la Sanità ha pubblicato un rapporto (Review of evidence on health aspects of air pollution – REVIHAAP Project) che analizza molti studi epidemiologici svolti dopo la precedente revisione delle line guida OMS per l’aria. Il rapporto 2014 documenta nuove preoccupanti evidenze degli effetti sanitari del particolato (PMx). In particolare:
- non c’è evidenza che esista una soglia al di sotto della quale non vi sono effetti sanitari avversi;
- studi realizzati dopo il 2005 hanno messo in relazione causale la esposizione prolungata a PM2.5 con molti nuovi effetti sanitari, come aterosclerosi, danni alla gestazione, malattie respiratorie nei bambini;
- stanno emergendo evidenze che suggeriscono possibili legami tra PM2.5 con malattie della sfera nervosa e diabete;
- è importante rivedere le linee guida del 2005 perché gli studi recenti mostrano associazione tra PMx e mortalità anche a livelli di concentrazione inferiori rispetto a quelli attualmente considerati (per il PM2.5: 10 μg/m3).
Per cercare di contrastare le emissioni inquinanti, le amministrazioni interessate, molto spesso, si concentrano su iniziative legate alla mobilità, ma secondo l’European Environment Agency (EEA), per diversi inquinanti locali (PM2.5, SOx) e per la CO2, la principali fonte di emissioni sono gli usi stazionari (“stationary combustion”, dunque le emissioni degli edifici).
I dati sono confermati anche da INEMAR, l’inventario delle emissioni in atmosfera di sette Regioni e due Provincie autonome (N.B: “combustione non industriale” indica le emissioni degli edifici).

Figura 2: fonti di emissione del PM2.5 e del PM10 in Lombardia (INEMAR, 2012).
E’ vero che, negli ultimi 20 anni, le emissioni di inquinanti locali sono complessivamente diminuite (grazie al rinnovamento del parco veicolare), ma la diminuzione, soprattutto in Italia, non è stata sufficiente (cfr. Figura 3).

Figura 3: concentrazioni annuali del PM10 nell’anno 2013 (Air Quality in Europe, EEA, 2015)
Inoltre, come riportato da Air Quality in Europe (EEA, 2014) solo una parte delle emissioni di particolato causate dai trasporti sono addebitabili alla combustione del carburante (ovvero, in uscita dal tubo di scappamento). La principale fonte di emissione di particolato dovuto ai trasporti sta diventando l’usura degli pneumatici, dei freni e del manto stradale (si stima che al 2020 solo il 10% delle emissioni di PM10 da trasporti saranno causate dalla combustione).
I dati dell’EEA appaiono concordanti con le misure e analisi di ARPA Lombardia riportate in VII Rapporto sulla Qualità dell’ambiente urbano – Focus sulla Qualità dell’aria, dell’Istituto Superiore per la Protezione e Ricerca Ambientale (ISPRA, 2011). Per esempio le automobili che soddisfano almeno lo standard Euro IV generebbero comunque in media circa 26 mg/km di PM10 dovuti alla abrasione di pneumatici e freni. Le emissioni da abrasione aumentano rapidamente col peso del veicolo, dunque sono maggiori per auto di grandi dimensioni e per veicoli pesanti.

Tabella 1: fattori di emissione medi per PM10 per differenti categorie di veicoli, stimati dall’inventario INEMAR come valori medi in Lombardia nel 2008 (ARPA Lombardia, 2011).
Ciò porta alla considerazione che il solo cambio di combustibile da benzina/gasolio verso elettricità/idrogeno incide solo su una frazione delle emissioni, genera comunque emissioni inquinanti al camino delle centrali termoelettriche in cui si produce l’energia elettrica, e non ridurrebbe la congestione delle città e l’occupazione di suolo da parte del trasporto individuale.
La considerazione più importante che emerge dai dati scientifici è però un’altra: la principale sorgente di inquinanti locali (e climalteranti) sono gli edifici e le emissioni di questi ultimi sono in crescita! Rispetto al 2003, le emissioni di particolato (PM2.5 e PM10) dagli edifici sono aumentate rispettivamente dell’11% e del 13% (cfr. Figura 4).

Figura 4: andamento temporale delle emissioni di PM10 e PM2.5 (Air Quality in Europe, EEA, 2014)
E’ importante non dimenticare che, oltre ad un problema di inquinamento locale, ne esiste uno altrettanto grave di inquinamento globale, a causa delle emissioni di CO2 che alterano il clima. Anche in questo caso, la principale fonte di emissioni, sono gli edifici (cfr. Figura 5).

Figura 5: fonti di emissione della CO2 in Lombardia (INEMAR, 2012).
E’ dunque ovvio che qualunque azione volta al miglioramento della qualità dell’aria non possa prescindere dalla realizzazione di un ampio piano di riqualificazione degli edifici esistenti. I dati di cui sopra (cfr. Figura 4) dimostrano altresì che l’attuale trend di riqualificazione degli edifici (trainato dalle detrazioni fiscali e dall’ecobonus) non è sufficiente: è necessario che le riqualificazioni degli edifici aumentino in numero ed in profondità, ovvero non si limitino a semplici sostituzioni tecnologiche di determinate componenti (finestre e caldaie), ma coinvolgano l’edificio nel suo complesso. Le tecnologie coinvolte in interventi simili hanno inoltre lunga vita utile (paragonabile con quella dello stesso edificio); ciò significa che questi interventi forniscono una soluzione definitiva e non temporanea.
Purtroppo, questi interventi, coinvolgendo l’intero involucro, sono più costosi delle semplici sostituzioni tecnologiche. Si pone dunque il problema del loro finanziamento. A tal riguardo è intervenuto il Fondo Monetario Internazionale (FMI), che in un suo recente rapporto (WP 15/105: How Large Are Global Energy Subsidies?) conclude che i sussidi alle fonti di energia fossili (in forma di sussidi diretti e di mancata imputazione dei costi sanitari a queste fonti) ammontano al 6,5% del prodotto lordo mondiale!
Ancora più importante, il rapporto FMI afferma che “eliminare I sussidi post-tassazione nel 2015 potrebbe aumentare gli introiti dei governi di 2,9 trilioni di dollari (3,6% del prodotto lordo mondiale), ridurre le emissioni di CO2 di oltre il 20% e dimezzare le morti premature dovute a inquinamento dell’aria”. I valori ottenuti dai ricercatori del FMI nel 2015 sono “drammaticamente più alti di quelli stimati precedentemente poiché nuovi dati della Organizzazione Mondiale della Sanità mostrano che i danni sanitari da inquinamento dell’aria sono molto più alti di quanto precedentemente stimato”.
Il rapporto del FMI sembra dunque rafforzare il punto di vista secondo cui la domanda centrale non è come trovare i fondi per investire in efficienza energetica e riduzione della domanda di energia (in particolare con interventi di miglioramento degli involucri degli edifici), ma perché le nostre economie dovrebbero continuare a soffrire i costi (“drammaticamente alti” secondo FMI) dovuti al non effettuare questi investimenti (che generano una serie di benefici in diversi ambiti, cfr. Capturing the Multiple Benefits of Energy Efficiency), e perché i fondi necessari sono oggi sperperati in sussidi distorcenti.
In conclusione, un efficace piano contro l’inquinamento locale non può prescindere da una strategia per il trasporto a basso impatto basata sull’integrazione di spostamenti a piedi, in bicicletta e trasporti pubblici, col fine di ridurre il numero e le dimensioni dei veicoli di trasporto privati.
A maggior ragione, visto che gli edifici sono la principale fonte di emissione degli inquinanti locali, le linee prioritarie di intervento dovrebbero essere le seguenti:
- investire fondi pubblici in “ristrutturazioni energetiche profonde” degli edifici esistenti, riducendone fortemente il fabbisogno di energia (la diminuzione del consumo energetico dovrebbe attestarsi tra il 50% e l’80%), grazie ad un notevole miglioramento dell’isolamento delle parti opache, l’eliminazione dei ponti termici, la sostituzione delle finestre, la riduzione delle infiltrazioni d’aria ed il recupero del calore sull’aria in uscita, l’applicazione di protezioni solari esterne e la realizzazione di ventilazione naturale notturna (cfr. i progetti EU-GUGLE, Passive-ON, ENTRANZE, RENEW SCHOOL);
- stimolare investimenti privati nell’edilizia a basso fabbisogno energetico, sulla falsariga di quanto avviene in alcuni stati Europei. Ad esempio, nel Regno Unito si potranno affittare solo edifici con classe energetica non peggiore della E. A Bruxelles tutti i nuovi edifici devono essere realizzati con elevata qualità dell’involucro, secondo uno standard equivalente a quello Passivhaus.